domenica 19 ottobre 2008

La vita è meravigliosa

La macchina non si fermò neppure, rallentò in curva e qualcuno gettò la ragazza fuori dallo sportello, sul marciapiede.
Sanguinante e esanime stava distesa a faccia in giù, quando il signor Antonio Quadrato settant’anni e in pensione, la vide.
Era rimasto di stucco, non era abituato alle stranezze e gli piaceva stare solo, aveva fretta di rientrare e non voleva impicciarsi, ma non poteva lasciare quella ragazza lì e in quello stato.
Non aveva parenti in vita il signor Antonio Quadrato, non aveva amici e nel condominio dove abitava non salutava mai nessuno.
In realtà un amico l’aveva, si chiamava Spiz, un bastardino di tredici anni piccolo e silenzioso.
Era quasi come non averlo tanto era discreto quel cane, l’unica confidenza che gli dava era quella di salirgli sulla pancia la sera, quando si addormentava davanti al televisore.
Tutte le mattine alle quattro e un quarto portava Spiz a fare una passeggiata, mezz’ora dopo rientravano a casa, faceva colazione e poi per quattro ore costruiva riproduzioni di barche famose coi fiammiferi.
Alle nove e trenta guardava su teleravenna “I superclassici”, film in bianco e nero che avevano fatto la storia del cinema, quelli di Frank Capra erano i suoi preferiti.
Alle dodici mangiava guardando il telegiornale e aveva forse, una sola abitudine strana, che era quella di commentare le notizie più interessanti assieme a Spiz. Dopo pranzo schiacciava un pisolino sul divano col televisore acceso a basso volume, e si svegliava senza puntare la sveglia.
Anche quella mattina, Antonio Quadrato uscì per portare il suo cagnolino a fare una passeggiata, quando al rientro gli capitò quella cosa strana di cui avrebbe fatto volentieri a meno.


All’angolo di via di Roma, con il viale Santi Baldini stava Daria, aveva battuto il marciapiede per cinque ore di seguito e adesso col freddo nella schiena e nell’anima aspettava il Biondo.
«Dai Biondo muoviti!», pensava Daria fumando a scatti, «ma quanto ci metti? Ah eccolo, ecco la sua auto!».
«Ciao bellezza hai i soldi?»
Daria abbassò lo sguardo e disse «No, i soldi non li ho, l’ultimo cliente mi ha picchiata e si è portato via tutto, guarda mi ha fatto pure un occhio nero»
il Biondo strinse le labbra e poi disse:
«Senti bella non mi avrai fatto fare venti chilometri alle tre del mattino per il gusto del cazzo vero?»
«No…no, guarda ti do il cellulare»
«Mi prendi per il culo? Io cosa dovrei fare con quella mattonella?»
«Ti prego Biondo è stata una serata di merda», Daria adesso piangeva.
«Su su, non fare così, lo sai che ti voglio bene vero? E per dimostrarlo ti darò la possibilità di guadagnarti la roba»
«Cosa devo fare?»
«Devi solo accontentare un mio cliente che ha dei gusti un po’ difficili»
«No ti prego, ho ancora addosso i segni che mi ha lasciato l’ultimo»
«Va bene, se hai un’alternativa dimmela pure»
Daria piangeva sempre più forte, «D’accordo, quando?»
«Subito, salta in macchina che ti accompagno io.»
La macchina del Biondo, una Mercedes cabrio, ripartì sgommando. Daria era sul sedile con una bustina in mano e lo sguardo perso nel vuoto, pensava a quattro anni fa, quando viveva coi suoi genitori a Brescia, pensava al suo ultimo anno di scuola al liceo artistico, alla fortuna che aveva avuto quando un pittore famoso aveva notato due suoi lavori e aveva introdotto lei nel mondo dell’arte e l’eroina nelle sue vene.
E adesso stava lì, dopo quel maledetto appuntamento, sbavante e agonizzante con la faccia schiacciata sull’asfalto freddo e le sembrava di sentire una voce in lontananza.


«Signorina! Signorina mi sente?», il signor Quadrato aveva aperto il portone di casa, poi aveva fermato l’ascensore, ci aveva legato dentro il cane ed era uscito di nuovo per occuparsi della ragazza.
La schiaffeggiò leggermente un paio di volte e lei apri un po’ gli occhi, notò che aveva le pupille rovesciate, la schiaffeggiò con più decisione e lei emise un piccolo vagito, non si fermò a disgustarsi della saliva che gli era colata sulle mani, afferrò la ragazza sotto le ascelle e la trascinò dentro l’ascensore.
La mise a letto e curiosò dentro la borsa, vide che si chiamava Daria Sasso ed era nata a Brescia.


Il Biondo era nervoso, guidava a scatti e voleva parlare, ma non sapeva come cominciare.
«Rallenta», disse l’uomo accanto a lui, aveva un vestito marrone e parlava con voce morbida.
Il Biondo rallentò, ma continuò a guidare a scatti, l’uomo col vestito marrone disse «Fermati, guido io»,
«Scusa, adesso mi calmo, è che sono preoccupato», il Biondo sudava, «Questa volta l’abbiamo fatta troppo grossa», l’uomo col vestito marrone allora tirò una lunga boccata dalla sigaretta e disse, «Non ti preoccupare, se la situazione peggiora ci penserò personalmente.»


C’erano farfalle colorate che le giravano attorno alla testa e suo padre la teneva per mano.
Camminavano dentro al luna park e non capiva come il gestore della giostra con gli elefantini conoscesse il suo nome, infatti la stava chiamando a voce alta e la invitava a salire.
«Dariaaaa, Dariaaa», diceva quell’omino buffo, aveva una faccia simpatica e Daria chiese il permesso al padre di andare, lui le disse di sì sorridendo e mentre saliva sull’elefantino, con l’aiuto del giostraio, rimase abbagliata da una luce fortissima.


Il signor Quadrato era un po’ in ansia, non sapeva come fare, si ricordò che al terzo piano c’era un maresciallo dei carabinieri in pensione e così decise, contro ogni suo principio, di andare a chiedere consiglio.
Controllò di nuovo la ragazza, provò a chiamarla un paio di volte, ma non si svegliò.
Pareva che stesse facendo un bel sogno.
Decise di lasciarle un biglietto nel caso si fosse svegliata mentre era assente, ma non trovava nessuna frase adeguata e così scrisse solo “Torno subito”, poi uscì di casa.


Daria aprì gli occhi, aveva un mal di testa fortissimo e non riusciva a capire dov’era.
Si alzò e cadde subito, si aggrappò alla sponda del letto si tirò su e si mise a sedere cinque minuti, poi cominciò a girovagare per l’appartamento.
Si sentiva bagnata, si sbottonò i pantaloni e vide che aveva le mutande sporche di sangue e le tornò subito alla memoria il Biondo e il suo cliente.
Prese il telefono e lo chiamò, dopo vari squilli il Biondo rispose, «Pronto….pronto?», Daria esitava, non sapeva cosa dire, «Pronto! Ma si può sapere chi cazzo è!»,
«Sono io, sono Daria».
«Dove sei adesso bellezza?», chiese con voce tremante.
«Sei un bastardo», disse Daria con filo di voce «Questa non te la faccio passare», poi riagganciò e svenne.


«Dammi il telefono», disse l’uomo l’uomo col vestito marrone. «Guarda che siamo nella merda, è ancora viva» disse il Biondo.
«Dammi il telefono e calmati».
Il Biondo gli diede il cellulare, l’uomo col vestito marrone controllò il registro delle chiamate e poi chiese, «A che ora ti ha telefonato?»
«Non lo so, questa mattina, forse alle nove»,
L’uomo col vestito marrone vide che c’era solo una telefonata registrata al mattino si segnò il numero su un pezzetto di carta e compose il “1412”, il servizio che rintracciava le chiamate.
Poi si accese una sigaretta, aspirò quattro lente boccate e disse, «Metti in moto, si va in via de Gasperi».


Più saliva le scale e meno sentiva la voglia di parlare col maresciallo.
Si fermò, si sedette un attimo sui gradini e si mise a fissare il ficus sul pianerottolo, non sapeva cosa fare, ma sapeva che doveva assolutamente aiutare quella ragazza.
Si alzò e torno in casa, la vide per terra, vicino al telefono, le prese la testa tra le mani e la chiamò, «Daria, Daria mi senti?», la ragazza girò la testa, lo guardò e sorrise.
Gli aveva chiesto da mangiare, e lui le aveva dato latte e biscotti.
Sembrava una normale colazione, padre e figlia.
Un raggio di sole entrava dalla finestra filtrato dalla tenda bianca e si andava a posare sul viso di quella ragazza, Antonio non voleva essere indiscreto, ma era curioso.
Si era accorto dei segni sulle braccia.
La guardò di nuovo e disse, «Mi chiamo Antonio, Antonio Quadrato e abito qui, vorrei che si sentisse a suo agio e vorrei poterle dare una mano se me lo consente»
Daria lo guardò, aveva gli occhi sbarrati e la bocca piena, mandò giù il boccone, poi disse «Grazie vecchio, sei molto gentile, ma me la posso cavare da sola».
Era deluso sperava in un’altra risposta.
Aiutare quella ragazza era importante per lui.


Erano arrivati, si fecero un paio di righe a testa e andarono a suonare il campanello.
«Chi è?» disse Antonio al citofono.
«Sono il padre di Daria, sono venuto a riprenderla, mi ha telefonato un’ora fa».
La voce morbida rassicurò Antonio che aprì la porta.
Daria nel frattempo era andata in bagno.
Antonio fece accomodare in salotto i due, «Salve sono il padre di Daria e lui è il fratello, le siamo molto grati per quello che ha fatto»
«Non è nulla, chiunque si sarebbe comportato come me» disse Antonio.
I due, pensò, avevano qualcosa di strano, soprattutto il giovane.
L’uomo col vestito marrone chiese «Si può fumare?» e Antonio acconsentì, l’uomo allora mise una mano all’interno della giacca, estrasse una pistola col silenziatore e sparò quattro volte a Antonio nel petto.
Il Biondo era paralizzato, l’uomo col vestito marrone se ne accorse e disse «Stai tranquillo, ho un piano».
Daria uscì dal bagno e vide la scena, non fece in tempo nemmeno ad urlare che attorno a lei fu tutto bianco.
Il Biondo sudava e non riusciva a muoversi, «Che…che…che facciamo adesso?», l’uomo col vestito marrone disse, «Rilassati per favore, ti ho già detto che ho un piano»
«Ah si? E quale sarebbe?», il tono del Biondo cercava inutilmente di essere minaccioso.
Ora erano uno di fronte all’altro e si guardavano negli occhi.
L’uomo col vestito marrone si girò di spalle e sparò tre volte nel muro, quindi si voltò nuovamente verso il Biondo e disse, «Dirò che tu hai ucciso la ragazza perché voleva uscire dal giro, e il vecchio perché si era messo in testa di aiutarla».
Il Biondo fece due passi indietro, l’uomo col vestito marrone estrasse un’altra pistola, quella d’ordinanza, e lo centrò con due colpi precisi al cuore.
Questa volta gli spari rimbombarono per tutta la casa.
Alzò la cornetta del telefono, compose un numero breve e disse, «Sono il commissario Giusti, c’è stata una sparatoria in via de Gasperi trenta, mandatemi subito l’ispettore Poletti con una squadra della scientifica».
Riagganciò.
Mise la pistola col silenziatore tra le mani ancora calde del Biondo, si accese una sigaretta e si sedette ad aspettare i colleghi.

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